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Pasquale Ferraro: “Prima il gusto poi l’estetica”

“Quello della cucina è un lavoro duro, ma gratificante. Ti consente di essere creativo e di avere delle soddisfazioni anche da un punto di vista economico. A me piacerebbe tanto trasmettere l’arte della ristorazione ed i segreti della mia cucina a qualche giovane serio e volenteroso. Ma oggi è sempre più difficile trovare ragazzi disposti ad imparare un mestiere. Una volta c’era la fila per lavorare nei grandi ristoranti, oggi trovare personale è diventata un’autentica impresa anche perché, chi esce dalle scuole alberghiere, il più delle volte sa fare poco o niente”. 

Parola di Pasquale Ferraro, uno degli chef più rinomati di Romagna che, dopo aver diretto brigate di prestigio (fu lui, ad esempio, ad aprire il super-patinato “Pepita” di Milano Marittima creato dal compianto Ettore Cabrini), dal marzo scorso fa il masterchef al ristorante “Bell’Aria” degli imprenditori Enrico e Nicola, una delle scommesse più interessanti della riviera romagnola.  

Lo chef romano, formatosi alla rinomata scuola alberghiera di Vieste, dopo aver lavorato per gruppi alberghieri di altissimo livello agli ordini dell’italo-americano Jack Bruno (“per me un formidabile maestro”) e al fianco di altri mostri sacri della ristorazione, come il pugliese Edoardo Del Castello, ha lavorato poco più che ventenne per importanti ristoranti romani e milanesi e, in particolare, per il gruppo Ciga che gestiva, alla fine del secolo scorso, i quattro più eleganti hotel di Firenze. 

Il suo salto di qualità è avvenuto però negli anni successivi all’Etoile di Chioggia, la scuola di alta cucina del gruppo Boscolo che, fino agli anni duemila, è stato l’istituto superiore di arte culinaria numero uno in Italia: “Lì – ricorda Ferraro – ho lavorato al fianco di pasticceri straordinari, alcuni campioni del mondo come Cristian Beduschi o Stefano Laghi, ed altri grandi cuochi che mi hanno insegnato tantissimo”. 

Dopo un’altra grande esperienza al ristorante Vite di San Patrignano, che ha inaugurato assieme a Fabio Rossi, lavorando per tre anni e mezzo al fianco del grande pasticcere Franco Aliberti (dopo i “Tre Cristi” di Milano, oggi a capo della brigata di “Anima” sempre nel capoluogo lombardo), Pasquale Ferraro, da qualche mese, lavora nel nuovo ristorante Bell’Aria di via Alfonso Pinzon a Igea Marina: “Qui faccio una cucina focalizzata sulla qualità assoluta delle materie prime – dice – dove la sostanza viene molto prima dell’estetica, una cucina di pesce che rispetta la stagionalità e che dà una grande importanza alle verdure che devono essere rigorosamente freschissime. Una proposta culinaria senza fronzoli né inutili guarnizioni in cui si esaltano i sapori e dove il brio della creatività spesso soppianta il rigore della tecnica. Una volta mi lasciavo un po’ influenzare dalle scenografie, oggi metto nel piatto solo ciò che è necessario. Il mio cavallo di battaglia? Direi tutti i piatti che propongo nel mio menù”. 

Insomma, lavorare con Pasquale Ferraro sarebbe una preziosa opportunità per tutti quei giovani che ambiscono a diventare degli chef completi, eppure oggi la creazione di una brigata è un esercizio sempre più complesso: “Quello della cucina è un lavoro bellissimo – dice – perché, al di là degli inevitabili sacrifici, ti dà davvero l’opportunità, quando arrivi ad un certo livello, di creare qualcosa di bello e di personale. Se non si trovano giovani disposti a lavorare in cucina vuol dire che in Italia c’è qualcosa che non va e che, forse, tutti questi ristori e assegni di sussistenza, stanno un po’ disincentivando le nuove generazioni. Ma la nota dolente sono le scuole alberghiere che, in molti casi, offrono una preparazione approssimativa. Mi è capitato spesso di veder lavorare questi giovani appena usciti dalle scuole e mi sono reso conto personalmente dello scarso livello tecnico della loro preparazione. Quando io, dopo cinque anni, sono uscito dalla scuola alberghiera di Vieste avevo un’eccellente conoscenza della cucina di base e delle materie prime, sapevo usare bene il coltello con i vari tagli, insomma ero pronto se non altro ad entrare in una cucina. Oggi invece ho visto ragazzi che, dopo cinque anni di scuola, non sanno neppure distinguere un porro da un sedano…”.

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